In questa mostra Bergomi rivela una parte segreta di sé, quella di pittore. E’ lo stesso artista a confessare di essere passato alla scultura perché annoiato dell’Iperrealismo. A guardare questi suoi primi paesaggi con figure e a confrontarli con l'ellisse che oggi occupa la piazza del Duomo di Pietrasanta è evidente che Bergomi era già posseduto dall’idea che le figure fossero segni nello spazio, e mostrava una sensibilità per il colore che non lo avrebbe mai abbandonato. Come se le avesse avute addosso da sempre. Solo che nei dipinti utilizzava lo scatto fotografico, cosa che ha deciso di non fare nella scultura proprio perché questa deve contenere l’esperienza del tempo. Eliminando l’istantanea per un linguaggio laconico, fatto di poche parole, di gesti e mai di pose, di evidenza architettonica dell’opera, di pesi e misure, Bergomi si incammina su una strada che sarebbe piaciuta a Poe, il quale sosteneva che l’arte deve garantire “la precisione e la logica rigorosa di un problema matematico”. E come se alla realtà si fosse sostituita la verità .
E non è affatto la stessa cosa.
John Berger afferma che “è inscritto nell'immaginazione umana che la scultura debba muovere verso il corpo” e che corpo e la scultura sono unite dal senso del tatto perché “entrambe le cose si possono, si devono toccare”. Così abbandonando la pittura, l’artista ha fatto del corpo il centro della sua immaginazione. Ma lo ha sempre sostenuto con un’idea del colore.
Lea Mattarella
jacqueline
Giuseppe Bergomi: uno scultore speciale, attento ai dettami realistici ed ai dilemmi interiori
di ogni vita terrena, capace di infondere nella sua arte scultorea e pittorica forti segni di realismo
ed idealismo al contempo. Una potente lirica dell’essere.
Una completa fruizione dell'entità umana e del suo essere psicologico, degno di instaurare rapporti con lo spazio esterno con una semplicità unica nel suo genere,
attenta ad analizzare la realtà nel suo piccolo e con minuzia e dovizia di particolari.
Costanza Tarabella{fullWidth}